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Può una discarica contribuire a ridurre l’impatto ambientale? Sembrerebbe un paradosso. Eppure a Collegno, nel torinese, ha sede il sito di smaltimento per rifiuti speciali e industriali più grande d’Italia, gestito dalla società a capitale pubblico-privato (il 30% è detenuto da Finpiemonte Partecipazioni, mentre il restante 70% è suddiviso in egual misura tra Sereco Piemonte e Sadi Servizi Industriali) Barricalla, che nel 2013 ha compiuto 25 anni di attivita.

i è cercato di mantenere un dialogo costante con i portatori di interesse, compresi i cittadini, all’inizio legittimamente preoccupati per l’”ecomostro”. Con il tempo, però, questo sito è riuscito addirittura a diventare un esempio a livello europeo. Un rappresentante del Comitato dei cittadini di Savonera, la frazione dove si trova il sito, arriva a dire: “È vero che non vogliamo che Barricalla cresca, ma saremmo più preoccupati se dovesse chiudere”.

La storia di Barricalla inizia nei primi anni ’80: allora “l’area su cui oggi insiste la discarica di rifiuti industriali pericolosi più importante d’Italia era un’area completamente degradata. La zona all’epoca ospitava infatti una cava di ghiaia di circa 600.000 metri cubi, che rappresentava un grave rischio per l’integrità della falda acquifera sottostante”, racconta il direttore tecnico Pasquale Luciani. In quegli anni la Regione Piemonte fa un censimento delle aree più degradate del territorio, per individuare un sito capace di ospitare una discarica che possa ricevere i rifiuti industriali speciali e tossico-nocivi della regione e costituire al tempo stesso un presidio permanente controllato. Nel 1984 nasce così la società Barricalla: “La componente pubblica della neonata società si sarebbe fatta garante della trasparenza delle attività svolte in discarica, mentre la parte privata ne avrebbe assicurato l’efficienza”. Viene autorizzato un primo lotto, che entra in funzione nel 1988, seguito dall’apertura di altri tre rispettivamente nel 1994, 2002 e 2010. “Dopo alcune comprensibili resistenze iniziali degli abitanti, in particolare degli agricoltori, che avevano già visto poco tempo prima i propri terreni attraversati dalla tangenziale di Torino, Barricalla, attraverso una costante attività di ascolto e concertazione con le parti sociali, vince la prima scommessa: quella della credibilità”.

Barricalla accoglie ogni anno 130.000 tonnellate di rifiuti speciali da tutta Italia. Ma come si svolge la sua attività? “Il nostro – continua Luciani – è il sito finale di smaltimento dei rifiuti. Gli scarti devono offrire condizioni di assoluta garanzia, ovvero non devono potersi rilevare criticità che favoriscano processi di trasformazione o indesiderate reazioni chimiche. Quando i rifiuti arrivano al nostro sito, il processo di classificazione ed omologazione deve essersi concluso favorevolmente. Noi verifichiamo che ci sia congruità tra ciò che viene dichiarato e la natura reale degli scarti”. La situazione del territorio e delle falde acquifere viene costantemente monitorata, con risultati positivi: “Ad oggi, dopo 25 anni di attività della discarica, non abbiamo mai ricevuto alcuna notifica di reati ambientali”. Dal 1998, il sito ha ottenuto ogni anno la certificazione EMAS, a garanzia di un modello di gestione ambientale efficace.

Fin dai primi anni di funzionamento, la discarica ha aperto le porte agli atenei, in linea con un approccio scientifico allora molto raro. “Nella seconda metà degli anni Ottanta, le informazioni relative al settore dello smaltimento professionale dei rifiuti industriali sono decisamente scarse. Internet è agli albori, i dati disponibili sono pochi e di difficile accesso. Il modo di operare allora dominante, consigliava infatti di mantenere su tutte le informazioni riguardanti i rifiuti tossico nocivi, oggi detti pericolosi, il massimo riserbo. In un quadro di questo tipo, e assolutamente in controtendenza rispetto al consueto agire del tempo, Barricalla sceglie sin dall’inizio della propria attività di coinvolgere l’Università e il Politecnico”, racconta oggi Mariachiara Zanetti, docente di Ingegneria Ambientale al Politecnico di Torino. Nasce così un rapporto virtuoso con il mondo scientifico: la società fornisce agli studiosi tutti i dati necessari con trasparenza, ricevendo in cambio indicazioni preziose su come migliorare le proprie performance. Pian piano, la discarica diventa così un laboratorio a cielo aperto, anche grazie ai progetti LIFE: nel 1995 il primo progetto per il monitoraggio integrato di aria, acqua e suolo, seguito nel 2003 da FALL (Filtering of Asbestos fibres in Leachate from hazardous waste Landfills), in collaborazione con l’Università Ca’Foscari di Venezia, per mettere a punto tecniche di cattura di particelle infinitesimali di amianto rimasto nelle acque di particolato.

Nel futuro della discarica c’è l’allestimento di nuovi lotti: i due ancora in funzione sono ad un livello di riempimento intorno al 60%. Si sta valutando la possibilità di estendere il volume della discarica dagli attuali 875.000 metri cubi a oltre un milione, ampliando l’attività del sito di smaltimento ai mercati d’oltralpe. Le aree esaurite vengono valorizzate con la realizzazione di impianti fotovoltaici. Il primo è già stato inaugurato a ottobre 2011 ed è in grado di coprire i consumi del sito e soddisfare il fabbisogno energetico di 500 famiglie. Potrà durare vent’anni a pieno regime, trenta in condizioni di efficienza. Lo stesso periodo richiesto per la progressiva dismissione della discarica.

Veronica Ulivieri

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