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IL PENSIERO CIRCOLARE NELL’ECONOMIA DEL RICICLO

È VENUTA L’ORA CHE L’ECONOMIA SI ISPIRI AL MODELLO CIRCOLARE DELLA COMUNICAZIONE BASATA SUL FEEDBACK. LE CRISI DEL NOSTRO TEMPO SI AFFRONTANO SVILUPPANDO L’ATTITUDINE ALLA RESILIENZA, CHE CI RENDE CREATIVI E CAPACI DI SOLUZIONI INNOVATIVE. IN ITALIA OCCORRE SOSTENERE E SEMPLIFICARE LE FILIERE DEL RICICLO.

Per un’economia circolare ci vuole un pensiero circolare. L’economia circolare si contrappone al concetto di economia lineare; quest’ultima è frutto di un processo evolutivo del pensiero dell’uomo basato sull'idea che, uscendo da fasi di forte crisi, come ad esempio un periodo post bellico, si possa produrre e consumare in maniera infinita.

Al di là delle considerazioni economiche e ambientali, mi preme innanzitutto sottolineare come questo approccio abbia generato e rafforzato, nel corso della storia stessa dell’uomo, una modalità di relazione tra le persone basata sul pensiero lineare. È proprio in uno di questi periodi che, ad esempio, la televisione diventa mezzo di comunicazione di massa, soppiantando la radio, ma soprattutto ha soppiantato modalità di  relazione basate sul contatto diretto tra le persone.

Non deve però sfuggirci che, al di là delle definizioni comuni, la televisione non è un mezzo di comunicazione, non mette in

comune nulla, ma è, pur nella sua straordinarietà, mezzo di informazione.

La scienza delle comunicazioni ci insegna che la vera, e profonda, differenza tra la comunicazione e l’informazione è il feedback, la risposta, il ritorno del messaggio; ed è proprio il feedback a rendere circolare il processo! Se analizziamo l’evoluzione storica dei mezzi di informazione e comunicazione ci accorgiamo come questa sia stata caratterizzata da innovazioni che hanno preceduto metamorfosi economiche.

Il primo dato che emerge da questa analisi, che io ritengo non casuale, è che i cosiddetti mezzi di comunicazione, alla fine degli anni Novanta del secolo scorso, hanno incominciato a cambiare, a innovarsi.

Prima Internet e le sue applicazioni, come il web, i blog, i forum e poi, nei primi anni duemila, l’avvento dei social network, primo fra tutti Facebook e poi Twitter, Instagram, Google+ ecc. Questa evoluzione è nata da giovani, da uomini e donne alla ricerca di una modalità nuova di relazione che ha come fattore comune la circolarità.

Se ne è accorta la televisione stessa che oggi l’informazione non è più sufficiente, e così ha incominciato a introdurre modalità interattive col mezzo, basti pensare ai vari talent e reality.

È venuta l’ora che l’economia si ispiri a questo nuovo modello, esattamente come il modello industriale di fine Settecento prima o il fordismo poi vennero dopo l’invenzione e la diffusione della stampa a caratteri mobili e della radio.

L’abbondanza e la scarsità

Anche oggi, verso il terzo decennio degli anni duemila, affrontiamo un periodo di crisi. Non si tratta tanto e solo di una crisi economico-finanziaria, ma assistiamo soprattutto a una crisi climatica e sociale, e la stiamo approcciando con ingredienti molto diversi rispetto alle crisi precedenti che ha affrontato l’uomo: siamo quasi sette miliardi e mezzo di individui sul pianeta, e abbiamo molte più informazioni.

La vera nuova sfida, a mio avviso, è che, a differenza delle crisi precedenti, in cui ci si tuffava nell'abbondanza, o almeno con l’illusione che il periodo successivo fosse potenzialmente migliore da quello da cui si cercava di uscire, oggi siamo consapevoli, almeno in parte, di dover fare i conti con la scarsità.

Scarsità di risorse, scarsità di democrazia in molte parti del mondo, scarsità di creatività, per una società occidentale, anche la sensazione di scarsità di spazio e di tempo.

Su questo tema lascio alla lettura molto interessante di Scarcity (Il Saggiatore, 2014) di Mullainathan Sendhil e Shafir Eldar il cui sottotitolo ci introduce alla nuova vera sfida “perché avere poco significa tanto”.

Una delle riflessioni che più mi affascina è che proprio in periodi di stress l’uomo, grazie alla sua attitudine alla resilienza, riesce a essere creativo e individuare soluzioni innovative.

L’innovazione e le nuove materie prime

Una delle prime ricadute dell’innovazione tecnologica dell’informazione è stata quella di veder comparire nei processi produttivi nuovi elementi fino a quel momento non conosciuti o comunque non sfruttati.

Dalla comparsa dell’uomo sulla terra e per alcune decine di secoli le risorse naturali utilizzate sono principalmente riconducibili al mondo minerale per produrre utensili e oggetti.

Da un paio di secoli a questa parte le risorse primarie sono diventate poi le cosiddette fonti fossili come il carbone prima, il petrolio poi e in seguito ancora il gas naturale e in parte l’uranio, utilizzate soprattutto per produrre energia, sempre più necessaria sia per

la vita quotidiana dell’uomo, sia per le produzioni agroforestali e industriali, oltre che per i servizi.

Negli ultimi anni, proprio con l’evoluzione dell’Information Communication Technology (ICT), l’uomo ha iniziato a estrarre e

utilizzare massicciamente nuovi minerali che garantissero ad esempio la trasmissione dei dati. Così accanto a fonti tradizionali, come fibre cellulosiche, silice, rame, ferro, polimeri plastici – solo per fare alcuni esempi – compaiono, nei processi industriali e nel linguaggio dei trader o degli smaltitori, elementi che anche gli studenti più preparati non ricordano dove si trovino nella tabella periodica, come il lantanio, che  in greco vuol dire “nascosto”, o il disprosio, il cui significato è “difficile da raggiungere”, o ancora l’ittrio, o il colombio, l’indio e il tantalio.

Nonostante però alcuni metalli siano definiti “preziosi” e altri elementi come le terre “rare”, sembra che l’approccio non sia

cambiato rispetto al prelievo di risorse tradizionali, con l’illusione che anche questi, nonostante gli aggettivi abbinati ai sostantivi, siano infiniti.

Che la mentalità economica non sia ancora cambiata lo si evince chiaramente da due fattori:

- l’approvvigionamento dei nuovi materiali resta appannaggio di poche realtà multinazionali che acquistano intere regioni nei paesi    che possiedono la risorsa di base

- il riciclo dei prodotti che contengono gli elementi “rari” è drammaticamente basso e lasciato a un mercato per lo più senza regole.

L’Italia e le materie prime seconde

Il refrain che l’Italia e, aggiungo io, l’Europa, sono povere di materie prime è quasi venuto a noia negli incipit dei convegni, o nelle pubblicazioni, eppure è sempre più fondamentale sviluppare processi di economia circolare in grado di sfruttare al meglio le materie prime seconde.

Fortunatamente l’industria manifatturiera italiana da sempre ha innovato nella sua capacità di riciclo, tanto che già oggi, ad

esempio, l’industria siderurgica italiana poggia per due terzi su materiali di partenza derivanti da riciclo e riuso, o ancora l’industria vetraria italiana, analogamente, utilizza oltre due terzi di rottame da raccolta differenziata o ancora l’industria cartaria che sempre più parte da macero, sia per il minor costo della materia prima che per la minor necessità di energia e acqua.

A fronte di queste grandi capacità di innovazione dobbiamo evidenziare due aree di miglioramento:

la prima è proprio l’approvvigionamento di materie prime seconde, per il quale certamente negli ultimi anni si sono registrati miglioramenti, con l’aumento delle raccolte differenziate, ma non ancora sufficienti come quantità, e soprattutto come qualità.

Siamo passati per alcuni comparti da importatori netti a esportatori, come il macero di carta. Ma una regolamentazione attraverso

le pianificazioni locali potrebbe, a mio avviso, nel rispetto del mercato, giocare una chiave importante per una razionalizzazione delle filiere locali di riciclo.

La seconda area di miglioramento è riconducibile al sostegno delle filiere di riciclo e recupero materia, sia in termini di semplificazione burocratica e autorizzativa – oggi a volte più complessa dello smaltimento – sia in termini di aiuto economico. L’aiuto economico non deve essere concepito esclusivamente come sostegno a fondo perduto o incentivo fiscale, ma prima di

tutto come riequilibrio tra scelte strategiche: non sfugge come fino a oggi l’incenerimento e il recupero di energia (ad esempio il biogas da discarica) siano stati fortemente sostenuti economicamente, cosa che non è avvenuta per il recupero di materia, penso

in particolare a due filiere, eccellenze italiane, che hanno sofferto di questo disallineamento:

la produzione di compost di qualità da destinare all’agricoltura o al riciclo della plastica poliolefinica mista.

Forse non è un caso che in Italia esista un solo impianto in grado di chiudere il cerchio nel recupero delle terre rare (Relight di Rho nel milanese), mentre la Germania, o il Belgio importano dall’Italia semilavorati che non siamo in grado di trattare!

Roberto Cavallo

Ad Erica soc. coop.

Presidente Aica (Associazione internazionale per la comunicazione ambientale)

Vicepresidente Comitato tecnico-scientifico Piano nazionale prevenzione rifiuti, Ministero dell’Ambiente, del territorio e della tutela del mare

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